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Quel «Rischiatutto» che poteva essere un grande show

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Riecco Rischiatutto, dopo le puntate spot di aprile su Rai 1. Rieccolo su Rai 3, nonostante i messaggi subliminali di Fabio Fazio che avrebbe preferito la rete ammiraglia. Ma Campo Dall’Orto l’ha promesso a Daria Bignardi e difficilmente tornerà sulla sua decisione. Però, questo è il punto. Rischiatutto ci può stare, come si dice, su Rai 3, ma probabilmente è troppo e tende a debordare perché è alieno rispetto alla cornice che lo ospita. Ha una ritualità, un linguaggio, una grammatica istituzionale che travalica la scrittura informale della terza rete (giovedì, ore 21.15, share del 13,8 per cento). Anche Fazio in doppiopetto – pazienza per la cravatta marrone – ci mette del suo. Rai 3 è informazione, inchieste, cronaca, talk show. Quiz no, varietà ancora meno. Messo così, è una citazione, tv vintage con qualche piccolo aggiornamento e l’invenzione nazionalpopolare della materia vivente, che l’altra sera era Carlo Verdone, pretesto per tuffarsi nella storia del cinema e nella carriera dell’attore-regista. Dell’annunciata versione 2.0 non s’è vista traccia se si eccettua una domanda dal web, cui si può rispondere tramite pc. Per il resto, ciò che manca davvero è il contorno, il contesto, decisivo affinché un programma si trasformi in evento. Non si può certo pretendere che quarant’anni dopo la stagione d’oro di Mike Bongiorno l’Italia si fermi come allora. Però un pizzico di pathos e di show in più: questo sì. Doppiopetto a parte, si capisce che Fazio gioca anche lui, pur mantenendo un aplomb formale. Si capisce la sua scelta di restare fedele al format originale, una scelta filologica, con le frasi di Mike («faccia bene i suoi conti», «faccio partire il tempo e le leggo le domande una alla volta», «ci pensi bene»), la stessa tendenza a stuzzicare i concorrenti, il distacco professionale, il ruolo del Signor No, il mitico Ludovico Peregrini, che Fazio vuol trasformare in personaggio. Ma forse proprio questa è, oltre che la forza, la debolezza dell’impostazione. Fazio è troppo «dentro» il progetto. E, alla fine, la cornice trasmette all’operazione un’aria dimessa e malinconicheggiante. Come se la Rai non ci avesse creduto fino in fondo per farne un grande appuntamento. La lettura dei quiz dal tabellone delle materie che all’epoca era un macchinario di meraviglie, oggi appare pedissequa. Oltre alla suspense manca lo show. Bastava sceneggiare qualche quesito, oppure renderlo più social, più tecnologico, e tutto sarebbe risultato più attuale. Per proclamarsi fedeli all’origine, c’è già Rischiatutto storia, l’appendice con i concorrenti di allora, gli aneddoti sentimentali di Peregrini («dopo la serata andavamo a cena al Santa Lucia») e, tra le cose migliori, Fiorello che legge brani da La versione di Mike (Mondadori).

La Verità, 29 ottobre 2016

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